Li ho cacciati – 4

– Questo è il numero del telefono azzurro – ho detto ad Angelo, e gliel’ho scandito perché lo ricordasse. Mi ha fissato per un attimo con aria stranita e ha distolto lo sguardo, più attonito di prima.
Ora mi avrebbe detto “Chiamiamo”. Io avrei preso il telefono, fatto il numero, l’avrei tenuto accanto al suo orecchio. Mi sarei presa una responsabilità. Magari i suoi l’avrebbero saputo, che gli avevo permesso di far del casino per niente. Fine dell’equidistanza.
Ma Angelo ha annuito con la testa, senza aggiungere altro. Al lampo di incredulità s’era aggiunta l’incertezza.
– …Ok? – gli ho chiesto.
– Mh.
Mh. Non ha aggiunto altro. Non ha chiesto il telefono.
Ti ho sgamato, vecchio mio. Avevi solo bisogno di vedere se ti avrei dato ascolto, se avrei eseguito o giudicato. Era una prova.
– …Che faccio – gli ho chiesto – gli infermieri lo sanno che sei da solo? Devo dirgli qualcosa?
– Gli infermieri… quelli neanche vengono – ha detto, irritato. – Li chiami, quelli passano, ti dicono sì sì arriviamo, ma poi tocca aspettare mezz’ora perché ti diano da mangiare…
– Beh non puoi aspettarti che sia come coi tuoi genitori, che ti stanno sempre appresso. E’ il prezzo della libertà.
Mh.
Angelo non sembrava aver tanta voglia di pagarlo.
– Tanto vedrai che babbo viene nel pomeriggio
– Non avevi detto che non volevi vederli?
– …Sì… ma… voglio dargli una possibilità.

Ah, ecco. Tutto come prima. E io che credevo ti fossi svegliato. Farete una pace fittizia, tornerai alla vita comoda, i tuoi si convinceranno che non puoi fare a meno di loro; poi litigherete di nuovo, e così via.
Forse non è ancora il momento per la libertà.