Li ho cacciati – 2

Dopo l’empatia, arriva il pragmatismo. Sono le due cose che so fare, in fondo.
– Tu puoi chiedere di stare in ospedale senza i tuoi genitori, no? Sei maggiorenne – gli ho detto. Non sapevo ancora bene come funzionassero le regole di reparto, anche perché Angelo era un caso decisamente particolare: lì da un anno e mezzo, con la famiglia che aveva ottenuto un permesso speciale per stare sempre con lui, e ormai sostituiva gli infermieri in gran parte delle loro mansioni. Ma ero decisa a organizzare qualcosa.
– Magari troviamo qualcun altro che ti aiuti – gli ho proposto. – Abbiamo due nuovi volontari, adesso…
Non mi sembrava vero di cogliere l’occasione per liberarlo da quella famiglia ricolma di opprimente buona volontà, quasi più invalidante di una tetraplegia. Se ad Angelo scattava la molla per arrangiarsi, era fatta.
Avevo pensato spesso a lui con preoccupazione. Mi chiedevo come avrebbe fatto a cavarsela, una volta tornato a Napoli – coi parenti triplicati e nessun estraneo che avesse una minima cognizione della necessità di vita indipendente per un disabile. Lo avrebbero schiacciato, anticipando come sempre i suoi bisogni ed etichettandolo pubblicamente come quello pigro, quello incazzato, quello che non fa. E il suo maledetto orgoglio avrebbe fatto il resto, impedendogli di strappare quelle etichette e dimostrarsi diverso. Sarebbe rimasto impantanato per sempre in un’identità non sua.
Questa era l’occasione giusta.

– Senti, so che non hai modo per chiamarmi – Angelo non può usare le mani – perciò passerò qui ogni tanto per vedere se ti serve qualcosa, ok? – gli ho detto, uscendo.
– Aspetta – mi ha fermato.
– Dimmi.
РQual ̬ il numero del telefono azzurro?

[…continua…]