Dopo l’empatia, arriva il pragmatismo. Sono le due cose che so fare, in fondo.
– Tu puoi chiedere di stare in ospedale senza i tuoi genitori, no? Sei maggiorenne – gli ho detto. Non sapevo ancora bene come funzionassero le regole di reparto, anche perché Angelo era un caso decisamente particolare: lì da un anno e mezzo, con la famiglia che aveva ottenuto un permesso speciale per stare sempre con lui, e ormai sostituiva gli infermieri in gran parte delle loro mansioni. Ma ero decisa a organizzare qualcosa.
– Magari troviamo qualcun altro che ti aiuti – gli ho proposto. – Abbiamo due nuovi volontari, adesso…
Non mi sembrava vero di cogliere l’occasione per liberarlo da quella famiglia ricolma di opprimente buona volontà , quasi più invalidante di una tetraplegia. Se ad Angelo scattava la molla per arrangiarsi, era fatta.
Avevo pensato spesso a lui con preoccupazione. Mi chiedevo come avrebbe fatto a cavarsela, una volta tornato a Napoli – coi parenti triplicati e nessun estraneo che avesse una minima cognizione della necessità di vita indipendente per un disabile. Lo avrebbero schiacciato, anticipando come sempre i suoi bisogni ed etichettandolo pubblicamente come quello pigro, quello incazzato, quello che non fa. E il suo maledetto orgoglio avrebbe fatto il resto, impedendogli di strappare quelle etichette e dimostrarsi diverso. Sarebbe rimasto impantanato per sempre in un’identità non sua.
Questa era l’occasione giusta.
– Senti, so che non hai modo per chiamarmi – Angelo non può usare le mani – perciò passerò qui ogni tanto per vedere se ti serve qualcosa, ok? – gli ho detto, uscendo.
– Aspetta – mi ha fermato.
– Dimmi.
– Qual è il numero del telefono azzurro?
[…continua…]
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