Simona

Ho conosciuto la sorella di Giorgia perché viene a trovarla spesso in ospedale. E’ molto più giovane di lei, e ha in faccia occhi smarriti da sorella minore così abituata a farsi considerare piccola e svampita da diventarlo veramente. Quando parla abbassa un po’ la testa e addolcisce all’estremo l’intonazione, come a pregarti di non bastonarla. Se sorride, il viso si piega in un’espressione stranissima, per cui gli occhi sembrano piangere.
Un giorno abbiamo pranzato io e lei, al bar, e mi ha raccontato le sue esperienze spirituali.
– Il mio padre spirituale è un prete molto anziano – mi ha detto – che ha un particolare carisma… il carisma della profezia
Non ero sicura di aver capito bene.
– Sì, sì, lui a volte riesce a capire certe cose che poi succedono veramente… perciò io ho fiducia… sai, lui ha promesso per mia sorella una bella sorpresa
РMa tu gli avevi detto che tua sorella ̬ diventata tetraplegica?
– No, no, l’ha detto prima che succedesse
Ah, ecco qual era la bella sorpresa.

Simona ha una trentina d’anni e abita insieme a un’altra sorella sposata, con la quale litiga quotidianamente perché questa vorrebbe che lei si occupasse della casa – cosa che invece non fa, dato che usa tutto il suo tempo libero per studiare pianoforte, gettandosi più o meno inconsciamente in un’inutile corsa per raggiungere la sorella. Aveva iniziato Economia, ma si deprimeva, sentiva che la sua strada era un’altra, perciò ha mollato tutto e si è iscritta al DAMS musica, con la benedizione di Giorgia. Più tardi ha cominciato con lo studio del pianoforte, e ora ci dà sotto per recuperare il gap rispetto a chi ha iniziato da piccolo.
Un giorno ha portato a Giorgia una tastierina, in ospedale, e gliel’ha messa sul letto, appoggiata sulle gambe insensibili. Poi ha cercato di suonare qualcosina con una mano. La sorella la correggeva con la spiccia severità di una laureata in pianoforte che non muove più le mani, e che se potesse suonerebbe quel branetto in un soffio di dita. Ma lo faceva mantenendo sempre un affetto sottinteso, sembrava abituata al ruolo protettivo di sorella-mamma.
– Un giorno che ero in crisi nera – mi raccontava Simona al bar – lei non mi disse niente, solo prese due tele e cavalletti, e mi portò in spiaggia. Io non capivo. Arrivati là, montò le tele, tirò fuori i pennelli, e mi disse: dipingiamo.

Non so perché, ho immaginato a lungo questa scena. Forse i pazienti dell’ospedale mi stanno attaccando la loro irrisolvibile nostalgia, così inizio a trastullarmi anch’io nel figurarmi questa signora, appena un po’ più giovane, che accompagna in spiaggia una ragazzina spersa e le insegna a dipingere un lungomare d’inverno, coi piedi ben fermi nella sabbia e i ricci rossi spazzati da un vento salato.