E chi te l’ha chiesto – 2

– Lui se l’è andata a cercare, lui! Ed è per colpa sua se si è rotto il collo e adesso siamo qui… siamo qui… io non lavoro, ora pure mio marito ha difficoltà… eppure stiamo qui da un anno e mezzo…
– Appunto – le diceva Pietro – prenditi una pausa. Non ce la fai, sei stanca, non reggi più…
– Non ce la faccio io? E ce la fanno gli altri? Lui non può fare senza di me, non può fare – scuote la testa. – Chi gli cucina, poi? Mia figlia? Ma non ce la fa, una volta che ho dovuto farlo fare a lei arrivava a sera distrutta che mi chiedeva mamma mamma per favore stasera vacci tu da Angelo… ma povera ha sedici anni cosa vuoi farle fare! Devo starci io con lui… e ci sto sempre… ma niente gratitudine… ci fosse una volta che dice grazie… che dice grazie mamma buona la cena che hai preparato… no… dice sempre di no… solo col padre… un po’ di più lo rispetta… e a me mi caccia via…
– …I figli non sono mai grati ai genitori – le ho detto. Avevo ascoltato a lungo senza intervenire, facendo i conti dentro di me di mare di disastri relazionali che leggevo in quelle parole, dal rancore verso il figlio alla tonnellata di sensi di colpa che gli scarica addosso, passando per la rivalità col marito e chissà cos’altro.
– E’ normale che sia così, è una specie di ruolo. Anch’io sono così. I figli saranno grati, forse, dopo. Ma a diciott’anni no, nessun figlio è grato ai genitori.
Soprattutto quando i genitori cercano di imboccarti a forza di fronte ad estranei anche se hai diciott’anni, approfittando del fatto che non ti puoi muovere e umiliandoti definitivamente, ho pensato, ma questo ho evitato di dirglielo.

– Stare sempre fermi è una cosa allucinante – ho continuato, notando che mi ascoltava con attenzione. Devo stare attenta a quello che dico, ho pensato, qui la gente mi prende tanto in considerazione che mette in pausa anche l’ira furibonda, fissandomi ad occhi bene aperti. E magari dico una stronzata. – Vedrai che appena guadagnerà un po’ di autonomia in più sarà anche molto, molto più tranquillo. Dipendere dagli altri rende insofferenti. Ci si sente impotenti, si perde la libertà. Perciò si combatte per difendere ogni briciola di indipendenza, ci si impunta. Il problema non è mangiare la carne o no: è vedere se quel che si dice, che si chiede, ha un valore. Verificare se almeno la propria parola ha ancora un potere, dato che il proprio corpo l’ha perduto.

Più tardi, Pietro mi ha aiutato a chiudere la sala informatica, finalmente vuota e silenziosa.
– Se la prendono coi genitori perché siamo i più vicini, è normale, devono sfogarsi contro qualcuno, anche mia figlia è così con me…
– Mah, sai cos’è – ho risposto, spegnendo un computer – è semplicemente che Angelo è ingrato e ribelle esattamente come gran parte dei diciottenni del mondo, e, se lui stesse bene fisicamente, la madre la finirebbe lamentandosi un po’ con una vicina di casa. La differenza è che i suoi genitori, data la situazione, devono sbattersi molto di più della media, perciò pretendono molta più gratitudine e soffrono il triplo se manca.
– Sì, dev’essere così.

E dev’essere che forse il rispetto non si compra col cibo e con le cure al corpo, ma si guadagna rispettando la libertà dell’altro.