Davide – 2

Venerdì sono andata a salutarlo. L’indomani sarebbe andato per tre giorni in un altro ospedale, a operarsi alla piaga; poi l’avrebbero riportato qui, per passare un mese immobile nella sua camera, col culo per aria.
– Magari ti prendi un computer portatile – gli ho detto – e continuiamo il corso così… tanto per non annoiarti…
Cinque minuti dopo ero nell’ufficio Reinserimento ad avvertire dell’idea, e meditavo progetti didattico-ricreativi per pazienti allettati. Adoro la concretezza di questo lavoro.

– Ti stavo pensando – ha detto, quando l’ho raggiunto al letto. Doveva restituire un libro nella biblioteca dell’ospedale, ma lo avevano bloccato a letto e non sapeva come fare. Era un libro in inglese, una specie di corso; me lo ha consegnato e ne ha approfittato per attaccare bottone con la sua parlantina abruzzese condita di zeppola.
– Il fine settimana guardavo le previsioni del tempo – racconta – e se c’era un buon vento da qualche parte d’Italia, prendevo la roba del windsurf e partivo. Se no, guardavo se in montagna aveva nevicato, e allora prendevo la roba da sci, e partivo. E se il tempo non era buono per queste cose, semplicemente prendevo la moto e andavo così, verso qualche città, cinque, settecento chilometri…
Ogni tanto gli squilla il cellulare. Lo guarda, guarda me, lo riguarda, riguarda me. – No, dai… non rispondo. E’ sempre così, son contento di essere in un ospedale lontano da casa così almeno non mi vengono a trovare… prima era un delirio, non stavo mai solo!
Ok, disadattato non è.
– Almeno – gli dico – non avrai problemi a trovare qualcuno che ti porti a spasso anche adesso…
– …”Mi porti a spasso?” – mi guarda male – che brutta espressione…!
Già, hai ragione. Intendevo nel breve termine, poi prenderai la patente e sarai tu a portare in giro gli altri.
– Ecco, così mi piace di più – sorride.