Angelo – 1

La prima volta che ho incontrato Angelo avevo cominciato da poco, e mi stavano presentando il volontario della sala informatica, Roberto. Con lui al tavolo c’era un ragazzo alto, molto giovane, su una carrozzina enorme e completamente sommersa da una coperta. Spuntava solo la sua faccetta appuntita, dai capelli spettinati e schiacciati dal cuscino.
Giocavano a dama. Lui diceva le mosse a Roberto e questi gli spostava le pedine.
– Spesso piange – mi ha spiegato il mio collega serviziocivilista, appena siamo usciti. – Mi ha detto che ha chiesto a sua mamma: “mamma, come mai non piangi anche tu?” “Vedrai che anche tua mamma piange”, gli ho detto, “cosa credi, che non le importa… certo che è triste anche lei”.
Ho immediatamente pensato che, tra le varie risposte consolatorie possibili, io non avrei mai scelto questa.
– Lui potrebbe muovere un po’ una mano – continuava – però non lo fa, non lo vuole fare, si è lasciato andare del tutto. Ed è già un anno che sta qui…

Non l’ho più visto per vari giorni, ma ho continuato a pensare a lui, ogni tanto. Chissà cosa spinge un diciottenne che già ha perso i tre quarti del suo corpo a mandare a puttane anche quello che gli resta. Non so, secondo la mia logica credo mi attaccherei anzi con tutta me stessa a quel poco che mi rimane, cercando di scoprire come spostare il mondo intero con un dito.
Ma dovevo imparare un’altra logica.

Angelo è napoletano e non parla granché, anche se ho l’impressione che non sia del tutto colpa sua. Ho saputo la sua storia da suo padre, un uomo grassotto e sorridente, lento nei movimenti e pacifico nel parlare. Sembra accomodato in una quiete ormai forgiata dal tempo e rassegnata all’attesa, e insieme disposto a un ragionato pragmatismo dell’azione.
Ci siamo conosciuti una sera in cui stavo tenendo aperta la sala informatica oltre l’orario, lavorando al computer mentre ormai non c’era più nessuno. Poco prima che chiudessi è salito insieme al figlio, mettendosi al tavolo con me.

(continua…)