Devo andare a letto

perché domani devo alzarmi e partire, ma prima sarà meglio raccontare.

Finora non ho scritto per mancanza di tempo e – soprattutto – di parole. Non riesco a descrivere organicamente quello che sto vivendo, mi si presenta a flash, a pugni in faccia, non a chiare sintesi.

I pugni in faccia abitano su una collina che si sale piano piano, se c’è il sole, per gustarsi un po’ di pace prima del lavoro. Hanno tutti un nome – ne ho crocettati tanti, nell’elenco in rosso – ma ne ricordo pochi, giusto il vecchio che aveva un nome strano o il signore scarnificato che si lamentava più degli altri – e quando ho visto ch’era sceso dal letto fino al bar dell’ospedale, non so come, mi ha attaccato il suo mezzo sorriso.

I vecchi si lamentano, gli adulti si raccontano e spesso rivendicano; i giovani ridono con più leggerezza e se gioca il Napoli non li puoi disturbare.
Poi c’è una manciata di occhi più tristi, rivolti ostinati all’indietro, verso nostalgie irrisolvibili quanto un midollo spinale spezzato.

[Così, io dovrei essere l’avanti da guardare con fiducia. Mi sento così poco credibile, io che di nostalgie ho giusto qualche amicizia perduta.]

[Sto attraversando, in quelle corsie, altre corsie – mie, dimenticate – ma di questo dirò poi, forse, è tardi – c’è così tanto da vivere, così poco da scrivere – devo andare a letto…]