Realtà

L’avevo già scritta, una scena così. Quel parco umido, minacce di temporale, e me di sotto, che non me ne voglio andare. L’avevo scritta anni fa, in quell’inizio di quindici pagine che resteranno sempre solo un inizio.

Così – sembrava buffo – mi sono seduta proprio nella mia pagina, cioè, panchina, a lasciarmi piovigginare addosso leggendo il blog di Pessoa (Il libro dell’inquietudine. Ditemi se non pare un blog!). Magari poi sarebbe accaduto anche tutto il resto.

Ma alla panchina hanno divelto un’asse; il tappo di birra, conficcato da anni ai suoi piedi, s’è arrugginito e non si legge più. Non arriva nessuno dal viale, e sul prato non calano orchestre sbucate dall’emmepitré.

Soltanto, seguivo con gli occhi il rauco rotolare dei tuoni tra i grigi, e poteva bastare.

[Nel mentre: estive serate Kubrick, divani a parlare di sogni e neuroni, Amici che s’appiccicano, colloqui ed esaltanti progetti di futuro, garage imolesi, domani parto.
A presto.
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