Festa G.

Esser chiamata ad andare per prima, a preparare i panini, ed esser pregata di restare per ultima, a supporto morale.

Accorgersi a un tratto di essere altrove, lontano dal cerchio di sedie, e come non vista spostare lo sguardo fra gli invitati che parlano a coppie – in numero dispari, naturalmente.

Giocare alla conversazione, osservandola spalmarsi placida nella formina, mentre asseconda curve di battute tristi (troppo insicuri per deviazioni originali) e trovare nella debolezza altrui una specie di sollievo: non sarò condannata per imperfezione.

Un pendio di abeti neri contro la notte abbagliata – c’è la luna alle spalle – una testa ruvida sulle ginocchia e un bacio in fronte.