Lasciando fuori

quel ch’è fuori, per una volta
– parcheggio e resto dentro, spenti i fari, posati i tergicristalli, il diluvio sul vetro e nell’autoradio un vecchio Einaudi – ma guarda, è il pezzo che ascoltavo girando per quel parco, in eterna attesa – e lo stesso che ballai nella mia stanza, festeggiando un’improvvisa mail – e piaceva anche all’Ele, è vero, già lei chissà dov’è – (buffo quante cose in solo un pianista d’accatto) –

Lasciando fuori tutti loro, dicevo
e planando piano piano nel ricordo mio – un paio d’occhi sopra i tetti, la finestra spalancata per finger primavera in casa – una che affacciata fischiettando immaginava se un giorno forse mai chissà sarebbe uscita
per solo una passeggiata o un’attesa a un angolo di strada – un angolo scelto

Pensando questo al mio posto di guida – nell’attimo che ho scelto, creato e dilatato, soltanto per veder sul parabrezza che effetto fa la notte in gocce deformate – dopo un giorno come tanti di giri passaggi epifanie

vorrei incontrarmi

lì mentre ero alla finestra, e mano sulla spalla dirmi a voce bassa che il tempo passa in fretta, e inventa più di me.