Giù dal treno

Aaaaaah.
Sospiro. Appena tornata dal campo, raccolgo un’odore di affetto rimasto sulla maglietta. Tocco questa scrivania invasa dai resti di valige mai disfatte, la tastiera che mi è mancata – ma anche la moleskine fa il suo dovere. Stropiccio gli occhi, ch’è tardi, e vi lascio qualche sensazione di viaggio.

Interrail

Venti giorni da raccontare sarebbero troppi, troppe le gag, le corse in stazione, le strade e i palazzi, le birre, i wurstel, il sonno, i discorsi fatti e quelli mancati. Quindi lascio perdere; presto se riesco metterò online un po’ di foto (anche se le migliori saranno senz’altro quelle della Fra!).

[Vi siete mai chiesti dove posare gli occhi quando si sta tutti stretti in uno stesso scompartimento di treno? Si guarda il panorama fuori, si legge mille volte l’etichetta non fumare, si contano le macchie sulla parete, si percorre il confine tra le persone e i sedili. Se lo sguardo scivola e ci si incrocia per errore, si scambia un sorriso o una parola cortese; magari addirittura si resta un momento a chiedersi chi sia quello davanti – ma non è il caso di porsi domande faticose. Anzi, per non rischiare di sbagliare ancora, meglio chiuder gli occhi e far finta di dormire.
E’ una buona metafora per questo viaggio.
(Forse avevamo dimenticato la prenotazione più importante; il controllore ha sgamato l’affetto salito senza biglietto, e l’ha buttato giù dal treno il primo giorno.
Grazie a chi, certe sere, ha cercato di rilanciarlo dentro dal finestrino)
]