Non ci avrei scommesso un calzino

ma tra i libri da studiare per GLOTTOLOGIA – già il nome fa scantàri – ce n’è uno interessante. Piacevole, scritto brillantemente, ironico, fa pure ridere ogni tanto. E già per questo un nobel a Pinker glielo darei, anche se avesse detto un monte di stronzate, solo perché è riuscito a scrivere un saggio non-palloso: una cosa saputa e non comunicata è uno spreco totale. Ne consegue che una cosa comunicata soltanto a quei quattro sfigati che hanno studiato ottantacinque anni, solo per riuscire a comprenderla una volta giunti all’ottantaseiesimo, è uno spreco quasi totale.

Quando appiccico sul blog una poesia semisconosciuta e un po’ ermetica, so che non la leggerà nessuno. Perciò se riesco la spiego, possibilmente senza presupporre che il BloggerMedio sia uno scafato filologo – anche perché non lo sono nemmeno io, quindi di più non potrei fare.

Pinker ha colto il concetto e ha scritto un saggio che intrippa come un romanzo: "L’istinto del linguaggio". Ehi, piano, ho detto come un romanzo, non come Harry Potter, quindi non andate a comprarvelo. Anche perché sono solo al terzo capitolo, potrei ritrattare tutto.

Quanto ai contenuti, ecco, per il momento tenta ingegnosamente di dimostrare una cosa che parrebbe molto ovvia, ma a quanto pare si sono scannati tanto sull’argomento: possiamo pensare anche quel che non sappiamo dire.
C’hanno fatto un milione di esperimenti e ne han dette di ogni (ricordate Orwell e la neolingua, inventata per plagiare il pensiero?), eppure, per capirlo, bastava farsi un giretto cercando parole, tipo il mio del 26 maggio.