Lasciarsi raggiungere

Avevo scritto un messaggio, per ridere – tanto di lui ridono tutti. Ma poi l’ho cancellato tutto a ritroso, parola per parola.
Perché non avevo di fronte una macchietta, un buffo attore – devo essermene accorta in quel momento strano, quando mi sono imposta di guardarlo in faccia – ma forse una richiesta, o comunque una possibilità; e io sto tradendo ciò per cui ho lottato una vita.
Si può tradire una vecchia idea in cui non si crede più, anzi, si deve. Ma quella (quella che un incontro non si deride, si scopre, e non sai mai quel che ti porta) è una delle poche cose in cui credo ancora.

["Gareggiate nello stimarvi a vicenda" è l’ipocrisia più impossibile e affascinante che conosca]

Invece la dimentico, perché inseguire se stessi è più interessante che lasciarsi raggiungere dalla vita. Uno si fa il programmino in testa, prevede i rapporti, scommette su questa o quella persona – e se un’altra fa capolino e chiede permesso, giù a domandare: ma l’hai timbrato il biglietto alle mie aspettative? Nel mio archivio di utopie c’è scritto che potrai darmi qualcosa? No, dico, ché se non c’è scritto aria, qui abbiamo gente più importante da aspettare.

Adesso, stando china a contemplare i calcinacci di un fallimento – o forse ancora è la prima polvere che si sfarina minacciando dal soffitto, e avverte: esci! – mi chiedo quante cose potrebbero avermi raggiunto ed essere passate oltre, mentre non guardavo.