Non posso

Non mi appartiene. Ne sono fuori, sopra; la osservo. D i s t a c c o . C’è qualcuno che si agita, là sotto. Chi è?
Sta scrivendo. E’ seduta su un granello di tempo qualunque, e scrive. Alle spalle ce n’è un’altra, sta spostando dei libri su uno scaffale, e tossisce di polvere. Uh, ha dato una testata contro un’anta aperta, l’imbranata. Sorrido.
Corro ancora un po’ indietro, c’è una sagoma alla finestra, guarda me. Sì, affacciata sulla notte, sposta piano lo sguardo come cercando. Giunge su di me, mi fissa senza vedermi, poi cieca passa oltre.
Passerà la vita rinchiusa, tentando d’incidere pareti infrangibili in una cella di specchi. Ogni tanto si vedrà riflessa contro un cielo rigonfio, e aspettando che l’ultimo tuono frantumi l’immagine, si confonderà con Dio.

Non posso capacitarmi d’esistere.

Ogni mio momento
io l’ho vissuto
un’altra volta
in un’epoca fonda
fuori di me

Sono lontano colla mia memoria
dietro a quelle vite perse

Mi desto in un bagno
di care cose consuete
sorpreso
e raddolcito

Rincorro le nuvole
che si sciolgono dolcemente
cogli occhi attenti
e mi rammento
di qualche amico
morto

Ma Dio cos’è?

E la creatura
atterrita
sbarra gli occhi
e accoglie
gocciole di stelle
e la pianura muta

E si sente
riavere

(Giuseppe Ungaretti)