Il laicato pavido

Ho trovato per caso, su internet, questo articolo. Era pubblicato da un “caporedattore dimissionario”, Marco Damilano, sull’ultimo numero di un settimanale dell’Azione Cattolica. Ultimo non nel senso di recente: ultimo perché il giornale, come ben spiegato qui, era stato fatto chiudere, in seguito a diversi articoli giudicati… poco ortodossi.

Ora, la storia del giornale non la so, non la giudico e non m’importa. M’importa quel che ha il coraggio di scrivere questo tale.

“….C’è una Chiesa che cammina sulla strada di Emmaus, che ammette il proprio smarrimento, che chiede perdono e si affida alla parola del Signore e non alle garanzie degli uomini, che parla ai giovani con il senso della tradizione e la fiducia nel domani. Ma resistono abitudini consolidate, figlie dell’incertezza, di «correttezze etichettate di ortodossia così staccate dal vivere degli uomini da diventare inutili e buffe, fedi così chiuse da temere che mai potranno aprirsi a un panorama reale», scriveva ancora Rossi.

Anche il nostro rischia di diventare un associazionismo estenuato, ripetitivo, chiuso in difesa di confini già scavalcati dagli eventi. Sì, c’è un laicato pavido che chiama gli arretramenti vittorie, i cedimenti resistenza, il non prendere posizione sobrietà, la chiusura speranza. C’è un modo di fare chiesa incapace di uscire dal gergo, di parlare alle ansie e ai dubbi di fede della gente semplice, che produce discorsi disincarnati, buoni per tutte le epoche e tutte le stagioni.

Parole retoriche in cui manca la storia. Il corpo. La vita. Viviamo, insomma, i giorni dell’impotenza. Un giornale, anche il giornale dell’Azione cattolica, non può essere separato dal tempo, non può astenersi dal riflettere quello che accade, che sia bello, brutto, rassicurante, scomodo. Un giornale, come si leggeva sulla maglietta di James, ragazzone australiano incontrato sotto il palco di Tor Vergata, non è una favola, è fuoco. Tra limiti, contraddizioni, errori e ingenuità abbiamo tentato di accendere qualche focolare. Sappiamo che non sarà spento”

……

Vorrei che si avesse il coraggio di gridare un cambiamento. Senza chinare la testa sotto un incerto senso di colpa, senza mettere le mani avanti con l’abituale ”sono io che non capisco, devo ancora imparare”, senza partire da presupposti uguali alle conclusioni (”è vero perché ti affidi alla Chiesa, ti affidi alla Chiesa perché è vero”) seguendo procedimenti illogici – e non si tratta della meravigliosa illogicità di questa nebbiolina, né dell’umile coraggio di arrendere la ragione di fronte a un’intuizione d’infinito.
E’ un’illogicità innanzitutto ipocrita, perché si spaccia per razionalità: si sforza di trovare giustificazioni arrampicate sugli specchi che nemmeno Anselmo d’Aosta; tutto è volto alla dimostrazione di una verità già data, e non alla sua libera ricerca. Ma è anche violenta, perché i suoi ghirigori accademici s’insinuano nelle vite e nelle coscienze delle persone che tentano di affidarsi. Per carità, ho frequentato abbastanza gruppi cattolici per sapere che la gente non è idiota e sa discutere, dubitare, contestare – nessuno ci torturerà per questo. Nessuno, nemmeno, ci caccerà dalla Chiesa, che come si sa è un po’ una prostituta: va con tutti ed è il suo bello. Mi riferisco a una violenza più sottile, quella di chi tollera eppure punta il dito dall’alto, di chi pur accettando di costruire un rapporto con te, dà per scontato che ad adattarti sarai soltanto tu.

Non è vero che i cattolici non sono liberi: possono entrare e uscire dal gregge a piacimento, possono pensare quel che preferiscono e dirlo forte quando vogliono – se non lo fanno, se la prendano con se stessi. Ma è una libertà da cui la Chiesa nel suo insieme, riguardo a determinate questioni, non riesce a trarre vantaggi: ogni critica è sbagliata in partenza e non può mai diventare proposta. Non esiste un dibattito costruttivo: al massimo si esprimono privatamente opinioni rassegnate, sapendo magari di essere in buona compagnia tra i dissenzienti, ma senza poter sperare in nient’altro che in un’omelia già sentita, tendente a dimostrare perché ha sempre ragione chi deve averla. E non soltanto quando si parla di dogmi (nonostante si potrebbe discutere pure su una manciata di invenzioni mariane), ma anche se si pesca qualcosa dall’intoccabile, millenario calderone della Tradizione, con quella T maiuscolissima su cui spesso viene crocifisso il buon senso.

Non c’è motivo per non cambiare. E’ tempo di scoprire qualcosa su noi come chiesa che non conoscevamo prima (Arcivescovo di Canterbury, parlando dell’ordinazione di donne-vescovo)

Si sentirà mai una frase del genere da un vescovo cattolico? Quando la nostra Chiesa avrà l’umiltà di cercare qualcosa che prima non conosceva?
Per ora il cambiamento – che pure in parte è avvenuto, troppi anni fa perché potessi godermelo – rimane non accettabile su molte questioni: la Verità è una e immutabile…  

“C’è, nel mondo di oggi, un pullulare di “verità”, verità nobili, ma non definitive, come quelle della scienza, “verità” meno nobili, come quelle del buon senso, come quelle di associazioni e circoli, come quelle di chiese e chiesuole, che dobbiamo ammettere come tutte possibili, come tutte contenenti una possibilità di vero, e verso cui dobbiamo avere un atteggiamento di rispetto e di attesa, un atteggiamento laico; in questo mondo la Chiesa deve farsi piccola tra i piccoli, sfidare con le sue verità le altre verità, mettersi al confronto con esse. D’altra parte il dire, come ha detto il Concilio Vaticano II, che lo spirito soffia dove vuole e che tutti, qualunque cosa credano, sono accettati, salvi, da Dio, vuole dire proprio questo, che occorre vedere Dio in ogni uomo che crede e che opera, pacificamente”
(Il disastro mondo, di Francesco Golzio)

Già, la Verità. Può anche darsi che sia una, e che non cambi. Ma noi, che la cerchiamo e ne scorgiamo un pezzetto per volta – aggiungendo magari qualche pezzo nostro, giusto per costruirci un rassicurante sistema di regole – siamo e siamo stati tanti. Siamo anche cambiati. E come noi, oggi, potremmo sbagliarci a intuire la Verità, così possono essersi sbagliati loro, chiusi in vecchie paure, legati a pregiudizi. Ne avremo senz’altro anche noi; ma questa è solo una ragione in più per interrogarsi onestamente sui fatti, sulle realtà vissute dalle persone e non quelle incarcerate negli ipse dixit – ché mentre gli ipsi dicono al perfetto, qui c’è un’umanità intera che s’arrabatta col presente.