Venezia

Assurda costruzione con scale capovolte

[Ovvero: due giorni alla Biennale di architettura con tre romani] 

Guardavo e riguardavo quest’immagine, che ho scattato al padiglione Hong Kong della Biennale. Potrebbe essere la tragicomica rappresentazione di un mio incubo notturno, ma la mia mente contorta ha deciso di appenderci anche altri significati. Quest’installazione è stata la mia Venezia: scale, assurdità architettoniche, percorsi impossibili e punti di vista.

Sulle scale non importa dilungarsi; qualche acrobazia l’abbiamo fatta, ma c’è andata pure bene, grazie a quel santo martire che morì per inventare la maratona. Infatti, quando la fanno a Venezia, montano qualche rampa qua e là e si gira un po’ meglio.
Ho detto un po’.

Le assurdità architettoniche sono quelle che popolano la Biennale: innumerevoli padiglioni zeppi di plastici e visioni più o meno realistiche delle città future; in qualche caso mostri di vetro colorato a due passi da costruzioni millenarie, più spesso grattacieli, ponti e torri che gareggiano a rubarsi l’ultima fetta di cielo. Il cielo fisico e quello metafisico, ché hanno pure inventato il cimitero a trecento piani con una lucetta per ogni loculo: mandi un sms al nonno e quello s’illumina. Perché comprare fiori? Perché far chilometri, inquinando e creando traffico, perché sprecare ore del tuo tempo per andare sulla tomba di qualcuno? In pochi secondi puoi accendere un tuo caro e veder da lontano una torretta sbrilluccicosa, pensando che tra quelle luci c’è anche quella del nonno. Altro che stelle. Questa è la città sostenibile.
Già, perché la sostenibilità si misura su scala collettiva, sui saldi demografici e sui metri quadri di verde a persona. Se poi per raggiungere quel verde devi scendere centoventi piani, perché abiti in un grattacielo, e devi dividere quello spazio con tremila persone, perché ti lamenti? Ciascuna delle tremila persone può fare il suo pic-nic familiare nel proprio metro di prato. Un metro uguale a tutti gli altri metri, un metro di tutti e di nessuno, dove non puoi dimenticare i panni stesi o ammonticchiare libri, né piazzarci il barbecue o montarci l’amaca. Nemmeno io lo posso fare, ma almeno nessuno mi viene a raccontare sorridente che ho il giardino.
Una città non dev’essere sostenibile per tutti, ma per ciascuno

Quella strana foto è però anche un percorso impossibile, un’insieme di scale rovesciate e interrotte, passaggi non comunicanti, strade parallele che non s’intersecano mai. Bisogna osservarle per un po’ prima di capire se e come siano intrecciate, e se sarebbe possibile arrampicarcisi in qualche maniera.
Così, m’è venuto da pensare alle mie strade impercorribili, a certe vie che scorrono parallele e tra loro si raccontano soltanto, perché nel mezzo c’è un vuoto troppo largo da saltare.

I punti di vista, infine, sono quelli che sperimentano le cose sottosopra: ribaltano le rampe in gradini e trasformano un’ale che scherza in un’ale che cade. Anche a me s’è capovolto qualcosa, dopo aver girato un po’ a vuoto in stazione, rimuginando su quel che non ho: ho provato a pensare a ciò che invece ho.

veduta notturna

 

[Frammenti

Gio lascia un messaggio sulla lavagna al padiglione ingleseGeografia economica non è affatto una materia inutile. Gio ha una moleskine cui tiene come a una figlia e se la perde va in paranoia grave. Ci fa disegnini minuti e precisissimi di guerrieri e leviatani, oppure ci appunta le domande da lanciare di notte, per farci parlare un po’ di noi. I padiglioni della Biennale si insinuano ovunque: ti puoi ritovare un’installazione cinguettante in albergo. Ale ha un’amicizia perduta che mi ricorda qualcosa. Il caffé omaggio alla Biennale è la mia mente.
Una delle personalità di Gio è un animale da palcoscenico e ama il centro dell’attenzione – quando non sembra, è perché le altre duecentotrenta personalità hanno avuto la maggioranza. Il vaporetto 82 fa solo servizio estivo, ma d’inverno gira normalmente. Gio può anche essere Johnny ma non è di certo Stecchino. scritta sulla lavagna:

Mentre ti spinge, ogni tanto ti s’accuccia sulla spalla così senza ragione – roba che se produci in serie peluche con la sua faccia diventi ricco. A Venezia il vaporetto costa 5 euro. Roma-Milan non andrebbe guardata in un pub ripieno di milanisti. Ad architettura si litiga semplicemente perché si lavora insieme. Al padiglione inglese si potevano lasciare foto e messaggi sulla lavagna. I veneziani sono simpatici, e dandoti informazioni attaccano bottone volentieri. Specialmente se li trovi ubriachi, fuori da un’osteria. Le due Ale fanno troppo ghignare quando prendono in giro Gio su Purini e sui quadrati. Lui ama i quadrati perché il suo inconscio rifiuto verso la propria rotondità gli fa odiare le linee curve. E poi un sacco di altre cose, che spero non andranno tutte perdute.
 

 

io e gio in treno