Halloween, ovvero: Dag Hammarskjold

Potevo scegliere fra due o tre feste, in qualche pub uguale a milioni di altri pub, guardando bere e chiacchierare e solite cose. Poi è capitato diversamente, sia per stanchezza, sia perché dopo un giorno rumoroso, in giro da un impegno all’altro, cercavo un po’ di pace. E in quella sottospecie di veglia/festa di Ac, di cui mi avevan detto via email, mi sembrava di poterla trovare.

– Scegli: cosa vuoi fare?
Sono stata mezza aggredita sulla porta e, senza tanti perché e percome, ho dovuto decidere cosa mi attirasse di più tra una serie di termini cattolicheggianti quali missione, famiglia, servizio, ecc.. C’era anche impegno civile, e non c’ho pensato due volte. Il tipo ha aggiunto una crocetta al suo elenco, assegnandomi a una tipa che mi indicasse la strada. Per dove? A fare?
Lì ho cominciato a capire che forse non era una festa di Halloween.
Mi hanno catapultato in una stanzetta al terzo piano del campanile, attorno a un tavolo con una decina di giovani, due a guidare il gruppo. In fondo, una lavagna con un nome impronunciabile: Dag Hammarskjold.

Segretario generale dell’Onu, Nobel per la pace e qualcos’altro, di biografie ne troverete a bizzeffe. A me importa raccontare che, per esempio, al piano terra dell’affollatissimo palazzo di vetro fece riservare una stanza della quiete. "L’obiettivo è stato creare in questa saletta un luogo le cui porte possano essere aperte ai terreni infiniti del pensiero e della preghiera." scrive. "Qui si incontreranno persone di fedi diverse, e per questo motivo non si potrà usare nessuno dei simboli cui siamo abituati nella nostra meditazione. […] Secondo un antico detto, il senso di un vaso non è il suo guscio, ma il vuoto. In questa sala è proprio così. La sala è dedicata a coloro che si recano qui per riempire il vuoto, con ciò che riescono a trovare nel loro centro interiore di quiete."
Questo valga come palo nei denti per gli urlatori che polemizzano pro e contro crocifissi vari.

Ma Hammarskjold – e non chiedetemi mai di pronunciarlo – ha anche scritto, tra le tante, una specie di preghiera che ci hanno letto e che, tu guarda, mi ricordava qualcosa. Ho controllato, era proprio la stessa che mi ritrovai fra le mani al campo, su una fotocopia intitolata "Chi è Dio" – tanto per stare sul semplice – insieme a qualche altra poesia.
Mi era piaciuta – ricordo di averlo detto, a luglio, in cerchio all’ombra di qualche albero – perché non si preoccupava di dare troppi nomi a Dio, né sommergeva le domande con qualche totale certezza, arrogante e puntigliosa; ma soltanto parlava di Qualcuno, osando appena la maiuscola. Poi mette in mezzo anche un destino, un senso, tutte cose su cui si potrebbe disegnare e cancellare a lungo, per aggiustare il chiaroscuro finché somigli sempre più al significato inteso; e, ancora, difficilmente ci s’intenderebbe.

Tu, che io non conosco
ma a cui appartengo.
Tu, che non comprendo,
ma da cui ricevo il mio destino,
abbi pietà di noi, così che davanti a Te
nell’amore e nella fede,
nella giustizia e nell’umiltà,
possiamo seguirti
con abnegazione e coraggio
e incontrarTi nel silenzio.

Non so chi – o che cosa – ha posto la domanda,
non ricordo neppure
quando ho risposto,
ma ad un certo punto
ho risposto sì a Qualcuno
e da quell’ora
ho avuto la certezza
che l’esistenza ha un senso
e che perciò la mia vita
nell’abbandono di sé
ha uno scopo.

Da quel momento ho saputo
che cosa vuol dire
non guardare indietro
e non essere
con ansietà
solleciti per il domani.

(Dag Hammarskjold)

[Ecco, una sera così è stata di certo più sensata – qualunque cosa questo voglia dire – rispetto agli altri halloween possibili. E vedere quel cartoncino con su scritto "impegno civile" non fa che ricordarmi certi miei talenti – forse addirittura una specie di dovere – che spero non saranno sepolti e soffocati dal latino impolverato, dagli stili dalla metrica dai carri-tenda dei Vichinghi e dall’andamento demografico in epoca di peste.
Sarà anche che soltanto l’otium giova alla res publica maior, mentre il negotium dei politici serve appena a quella minor*; ma non so quanto l’umanità brami il frutto dei miei deliri letterari. Forse mi ringrazierebbe di più per qualcos’altro
]

*Dal Vangelo di Seneca secondo Dionigi