Tristezza

Non la puoi dire veramente a nessuno, perché si spaventerebbero, o li annoieresti.

Quando arriva hai fame ma non riesci cucinare, devi studiare ma non riesci a studiare,
allora ti butti sul letto e resti a sentirla, a crogiolartici dentro. Non è che puoi a fare molto altro.

Le immagini si mescolano, non capisci più se è la nostalgia, l’infanzia, o cosa. Un ricordo richiama l’altro, e non è nemmeno chiaro se sono loro a provocare la tristezza, o se è la tristezza a tirarli fuori, per cercarsi una giustificazione qualsiasi. Ti ci soffermi finché riesci a circondarti di ciò che non esiste più, ma sembra vivo, possibile, è lì con te e ti rassicura come un capriccio soddisfatto. Popoli l’immaginazione dei tuoi desideri e ti ci aggrappi, li stringi fino a crederci abbastanza da vederli, senti crescere quel sentimento artificiale e ti abbandoni, ti lasci invadere da una sterminata gioia, ti commuovi, piangi come fosse vero.

Dopo un po’ non funziona più, quasi che le immagini fossero consumate. Prendi uno dei soliti ricordi, cerchi di sentirlo, di goderne l’intensità drammatica, aspettando il nodo in gola. E invece arriva solo una stanchezza, non hai nemmeno voglia di pensarci, non riesci più a sentirli come prima.
Resta solo una specie di alone grigio attorno, e la sensazione di aver scorto, per un attimo, un cupo buco nero
di cui non vedi il fondo.

[Da lì, lentamente, si risale. Torna la voglia di fare qualche piccola cosa, si accende il pc, si apre uno spazio per qualche nuovo pensiero – sempre teso, sempre in lotta per non lasciarsi sopraffare]