E qui finisce

il mio venticinquesimo anno.
Venticinque. Venticinque sono troppi, indiscutibilmente troppi. Quelli di 25 anni erano ormai grandi, sicuri di sé, facevano anche un po’ paura,
e comunque già lavoravano, o avevano un progetto nella vita, un moroso stabile o che ne so.

Mica come me. Io ho appena iniziato a vivere, sarà uno, due anni, toh. Mi sento ancora lontanissima dai grandi, continuano a farmi paura,

ma soprattutto,
ho bisogno ancora di tempo, tanto tempo, e venticinque significa che sono già passati, persi,
e per lo più buttati nel cesso, eppure sono tantissimi, se va bene ne vivrò altrettanti solo due volte, o poco più.

E poi: se divento grande, devo cambiare prospettiva. Già un po’ sento che sta succedendo.
Che altre cose iniziano a diventare importanti,
oltre alla solita corsa ad essere amati.

Tipo, il lavoro. Da un po’ lo cerco compulsivamente anche se non ne ho bisogno,
– servirebbe giusto per godermi la vita senza sensi di colpa –
e l’altro giorno, a tirocinio, c’è stato quel momento in cui mi sembrava finalmente di fare una cosa appassionante.

Per non parlare della casa, che tra un po’, temo, dovrò trovare
– e confesso che un po’ mi sogno ad arredarla.

Però ecco, venticinque sono proprio tanti,
sono tanti per strozzarsi con quel nodo in gola di fronte a ogni relitto dell’infanzia,
tanti per avere paura dei genitori e degli adulti,
e senz’altro troppi
per averli vissuti così poco.