Notti

Svegliandomi alle tre sono rimasta a guardare un po’ di notte, il mio piccolo bosco domestico.
All’inizio lo attraversavo lentissima per guardarlo più a lungo, mi sembrava così strano avere un parco privato dove potermi attardare col buio, senza guardarmi le spalle.

C’è stata una notte che potevo guardare solo dall’alto. Iniziava sull’orizzonte coi minuscoli grattacieli della fiera, proseguiva col buco buio della montagna del rusco, poi il profilo di mille luci e lucine che sapevo a memoria – se ne spuntava una nuova me ne accorgevo subito – per finire in grosse ombre nella casa del contadino. Ho immaginato per anni di andarci, sognavo di ritrovarmi in un luogo finalmente da sola, decidendo da me l’andatura, le soste, quando sdraiarmi sul prato. Quel pezzo di campagna abbandonata era il simbolo del mio non poter andare, era di certo l’ultimo posto dove avrei mai potuto restare la notte da sola.

Poi c’era la notte ristretta della casa in Sicilia, un rettangolo fatto apposta per frustrarti: di qua la casa, di là un dirupo, e perfino il paesaggio – fantastico, sul golfo – non potevi vederlo, completamente coperto dagli alberi. C’era, poco più in là, un angolo dove l’orizzonte si apriva, finalmente scoperto, ma andarci era un premio, una rarità: quei pochi metri di stradino troppo sconnesso…
Così mi illudevo di essere sola restando davanti alla porta, allenandomi a trovare le stelle, mentre gli altri erano già a letto. Avevo inventato le mie costellazioni, non conoscendo quelle vere, e le ritrovavo sempre. Ero adolescente, mi struggevo per una mancanza – ma dai! – e passavo ore in conversazioni immaginarie con gente che non c’era, che non ci sarebbe più stata, e che – impensabile, allora – avrebbe perso importanza.

Da qualche anno, finalmente, è arrivata una notte facile. Ci parcheggi la macchina, la attraversi comodamente su un vialetto di foglie, incroci ricci, picchi e talvolta una civetta, e d’estate ci puoi anche dormire. Rimane ad aspettarti appena fuori dalla porta, basta un gesto per ritrovarla, silenziosa, sotto gli alberi. Puoi passeggiarci anche alle quattro del mattino, dopo averla trascorsa in confidenze con un tè e una vicina.
E’ la prima notte su cui si è affacciato qualcuno che dormiva con me, ed è la notte in cui è andato via.

Anche io dovrò andare via, tra qualche mese.
In effetti le altre notti, che credevo non avrei mai potuto abbandonare o sostituire, non mi sono mai mancate davvero. Forse perché quelle nuove erano sempre un po’ migliori, più eccitanti, costellate di nuove possibilità, e alle vecchie non avevo tempo di pensare. Dev’essere come la vita in generale, per un po’ riesce anche migliorare, ma a un certo punto raggiungi un livello oltre il quale non vai.

E allora inizi seriamente a perdere.