Falò

appunti in fiamme

 

Ho pensato a lungo a cosa poter buttare nel falò. Qualcosa di simbolico, ché gli appunti veri non li avrei bruciati mai, io che ho il terrore del tempo figuriamoci se comincio a distruggermi i ricordi da sola.
Così, mi son chiesta cosa brucerei dei cinque anni passati. Un esercizio di matematica no, dai, è scontato; una foto, per carità, non potrei mai gettar via nessuno, nemmeno i professori più rompicoglioni. Che strano, tutto prende un’aria leggera, ora ch’è finita. Non ho voglia di recriminare niente. E’ così comoda questa pace, adesso; mi darebbe fastidio risentir elencare da qualche frustrato i centoventiquattro motivi per cui questo o quell’insegnante merita indubbiamente il rogo.
Dai, facciamo una sanatoria, un’amnistia, almeno un indulto collettivo.
(La fai facile tu, razza di secchiona raccomandata)

Avevo pensato di portami un foglio vuoto, un foglietto quadrettato bianco, da bruciare. Perché forse le uniche cose che rinnegherei sono quelle che non ho fatto, che ho fatto troppo tardi, o che ho evitato per paura. Il tempo perso, le occasioni andate, i pensieri mai pensati e quelli rimasti a galleggiare nel limbo del possibile. Il resto, le cose fatte, sono servite a rendermi quel che sono – e diciamocela tutta, non mi faccio proprio schifo, và.
Alla fine non ho bruciato nemmeno il foglio bianco, m’è rimasto in tasca. Vorrà dire che dovrò impegnarmi per scriverci qualcosa.