E questo è il Fermi…

scaffale coi libri di scuola

Ho messo via i libri, l’altro giorno; stavano ancora sparsi per il letto, il tavolo, il comò. Dopo l’esame sistemo, dicevo; ed eccolo arrivato, il dopo l’esame. Ho attaccato le casse al pc, ché un po’ di colonna sonora ci vuole mentre si riordina, Il signore degli anelli e Amelie.
S’apre un libro per sbaglio. Scarabocchi, i miei soliti disegnini a margine, fogli che svolazzano.

E’ veramente finita: lo leggo nelle vecchie calligrafie, nella polvere che si solleva scartabellando lo scaffale, in quel tema di prima che toh, chissà da dove salta fuori. Ci sono le correzioni della Seggy, di quando era ancora una prof qualunque un po’ pallosa; e guarda io, come scrivevo male cinque anni fa.

Cinque anni fa. Ero un cartoccino disastrato in disperata ricerca di rapporti umani decenti, e mi portavo addosso il mio caratteraccio sfilacciato. Si trattava d’iniziare a rattopparlo – e di trovar qualcuno che mi desse una mano.
Poi dev’essere successo, in qualche modo: giorno per giorno, non so come, abbiam cominciato a disfarlo e ricostruirlo, cucendomi addosso qualcosa di nuovo. E il telefono squillava e le notti s’attraversavano ridendo, in giro con gli altri – quelle notti che finivano ancora alle undici; e quando mi chiesero se stavo bene in classe, io potei rispondere: sì.
La scuola non era ancora troppo faticosa, anche se già sapevo di averla sbagliata (e perché hai fatto lo scientifico?); quasi ci si divertiva, battibeccando con la prof appollaiata dietro a spiare se risolvevo gli esercizi. 
Dopo, accadde l’Amicizia. Quella dolcissima che mi scaldava dentro perché era la prima, perché mi diceva ti-voglio-bene quando ancora ascoltavo ogni sillaba cadere lentamente con un suono nuovo; mi sembrava strano potersi leggere negli occhi e capirsi, condividendo se stessi.
In terza, girata la boa, ho iniziato a sentirmi addosso lo scorrere del tempo; e da qualche parte, in un angolino in fondo, è scattato il conto alla rovescia. Non avevo mai avuto quasi nulla da perdere: ora l’avevo e mi venne paura.
Ho visto la gente cambiare, è arrivata l’Ele, mi sono incazzata con Pardo, gradualmente ho smesso di credere nella Classe, scegliendo di fidarmi (il giusto) delle Persone. Ho vissuto con un’intensità particolare, che non sarebbe tornata, e che adesso riguardo distante, un po’ sorridendo di me. Con la stessa intensità ho preso le mie bastonate, quelle del cambiamento e della nostalgia.
L’anno dopo c’è stata Barcellona, i discorsi notturni in cui misurai la differenza tra come apparivo e come mi pensavo; e poi quel lanciarsi a capofitto in attività nuove, provando un vasto guardaroba di maschere in attesa di scoprire quella migliore.
Infine la quinta, un po’ di pace rassegnata. I corridoi che non si percorrono mai senza salutare un passante – ormai per un motivo o per l’altro sbucava sempre da ogni aula qualcuno che conosco.

E la scuola sempre lì, sullo sfondo. A farmi conoscere persone (quelle Importanti), uscendo o studiando assieme; a recuperare qualche idea di seconda mano o a tirarmi fuori determinazione, incazzosità o capacità di mediare.
Forse non c’entrano questi libri, allineati in modo quasi ordinato – come riesco a fare soltanto con le cose che non si usano più. In fondo quasi tutti rappresentano il tempo perso a far roba che non m’importa, studiatone d’emergenza a sera tardi, casini per interrogazioni (poco) programmate.
Eppure fanno parte anche loro di una fase, di un ambiente che non ho mai vissuto troppo male, nemmeno nei periodi più impegnati.
Così, mi fa un po’ effetto vederli lì, messi via, ordinati. Come cose che non si usano più.

[…Questo è il Fermi
e in quel suo torbido
mi sono rimescolata
e mi sono conosciuta
]