Monthly Archives: Novembre 2007

Mi è venuto in mente

ripiegando la maglietta, stamattina. Un flash, poi un altro, un altro, e ho ricostruito il sogno.
Seguivo un prete in bicicletta su via Azzurra, ma andava forte, svoltava, lo perdevo. Per strada un bambino m’affiancava, parlando della scuola e chiedendomi di me (non somigliava a lui, né dormendo sapevo ch’era lui, però da sveglia l’analogia sovviene…) poi era tardi e dovevo andare via. Mi aspettavano in un’aula piccola, con la cattedra e due letti al posto dei banchi, due letti morbidi di piumino blu.
Su uno s’ammucchiavano certi amici, così anch’io mi sono tuffata, la testa posata sopra il ritmo di un respiro,
ed era un abbraccio.

Qualcuno avrebbe per caso uno specchio

perché mi sa che i miei non funzionano più. Devo averli truccati per sentirmi meglio.

[Forse non ci vedo]

Uno stanco no senza fine

Come possiamo amare
due cose
in perfetta contraddizione fra loro
e che si escludono a vicenda?
Io le ho amate tutte e due
per amore della vita.

(A. Palazzeschi, Via delle cento stelle)

Ma chiedo e domando, umilmente, in ginocchio, con tutta la forza e la passione dell’anima mia, un po’ di certezza; una sola, una piccola fede sicura, un atomo di verità! […] Ho bisogno di un po’ di certezza – ho bisogno di qualcosa di vero. […] Io non ho cercato che questo. Fin da bambino non ho vissuto che per questo. […] Ma dietro ogni parete c’era il vuoto; al di là d’ogni muro c’era il buio, e l’eco era talmente singolare che ad ogni sì di speranza tornava indietro uno stanco no senza fine. […] Di ogni cosa ho visto il pro e il contro e il contro del pro; tutte le idee eran diamanti e prismi, ed erme quadriformi e sfi ngi con mille risposte a dieci domande. A nessun problema si può rispondere in una maniera sola e soltanto in quella maniera. […] Scettico io? No – disgraziatamente. Neppure scettico. Lo scettico è fortunato: una fede gli rimane, la fede nella impossibilità della certezza. […] Fra le cose possibili vi è anche questa: che la verità si trovi e che qualcuno la possegga. […] Voglio una certezza certa – anche una sola! Voglio una fede indistruttibile – anche una sola! Voglio una verità vera, anche piccola, anche meschina – una sola!
Ma una verità che mi faccia toccare la sostanza più intima del mondo; il sostegno ultimo, il più solido; una verità che s’impianti da sé nella testa e non faccia più concepire ciò che a lei contraddice; una verità, insomma, che sia una conoscenza, una conoscenza vera e propria, perfetta, definitiva, autentica, assoluta.
(G. Papini, Un uomo finito)

[Tutto questo, unito a un bell’articolo di Mimmo Cangiano sulla distinzione tra umorismo e problematico, l’ho trovato sul numero 6 di Tabard. Leggetelo.
Io con costoro devo avere una certa affinità intellettuale.
]

Ma tu, ora che ci penso

Ti ho mandato un messaggio vedendo il coniglio appeso, quello che mi hai regalato. Spero di non aver già usato con te questa scusa, per giustificare il fatto di averti pensato. Perché è chiaro che non è per aver visto il coniglio che ti ho pensato.
Ho riletto certe cose vecchie e trovo ricordi che avevo scordato. C’è sulla scrivania la tua foto – la tua unica foto che ho – nella cornice blu, il tuo colore preferito, blu.
Ho scritto una scena, una breve scena dello spettacolo. Doveva esserci un bambino offeso. L’ho immaginato con la testa sul banco, la testa chinata ostinatamente sul banco per non piangere e non parlare, perché quel bambino non sa urlare né vendicarsi, e per calmarsi tace.

Quel bambino sei tu.
Non verrai mai, ma vorrei che venissi a vedere lo spettacolo. Solo per quella scena ch’è un regalo a un ricordo.
Ma tu – ora che ci penso – tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura.

Cieco

“Verso l’alba, sognò d’essersi rifugiato in una delle navate della biblioteca del Clementinum. Un bibliotecario dagli occhiali neri gli domandò: – Che cerca? – Hladìk rispose: – Cerco Dio -. Il bibliotecario disse: – Dio è in una delle lettere d’una delle pagine d’uno dei quattrocentomila volumi del Clementinum. I miei padri e i padri dei miei padri hanno cercato questa lettera; io sono diventato cieco a cercarla -. Si tolse gli occhiali e Hladìk gli vide gli occhi, che erano morti.”

Jorge Luis Borges, Il miracolo segreto

A Tartufi & C.

[Scusate, ma ho riso tantissimo] 

Volantino: la verità è il cestino per il quale siamo fatti

Non è propriamente il fatto

che tu non ci sia (perché quello via, si può capire); né tantomeno ti ripagherei volontariamente con uguale distanza, per ripicca.

E’ che – ho paura – l’uguale distanza si creerà da sé, e tutta la mia comprensione non basterà a colmarla.

[Non prendetevela con me, l’ha detto lui:

“La distanza, infatti, non fa cessare l’amicizia in senso assoluto, ma soltanto il suo effettivo esercizio. Ma se l’assenza dura nel tempo, essa, si ammette, fa dimenticare anche l’amicizia. Di qui il detto: “Molte amicizie, dunque, ha fatto cessare l’impossibilità di parlarsi”.
Aristotele
]

Facciamo che

Facciamo che tu sei quello e io sono quella
che s’incontrano un giorno e si prendono le mani

e non dire nulla

(Altrimenti s’infrange
il gioco e si scopre subito
che non siamo
quelli.)

Rive mattutine

Annaspando sulla riva di un sogno
ho capito l’affetto ostinato
che tiene incollate le alghe
rimaste impigliate al risveglio

[Immagino che questo sia il post più mattiniero del mio blog (considerando che le 4 del mattino facciano ancora parte delle notte).

E’ che in effetti ho sognato anche stanotte. Mi sono svegliata prima per colpa del sogno che m’è rimasto incollato, ho tirato fuori un vecchio quaderno per scriverci due cose, e nella pagina prima ho trovato alcuni versi, datati diciassette maggio. Forse non li ho mai pubblicati perché allora non mi piacevano. In effetti l’inizio continua a non piacermi. Però oggi pubblico l’ultima strofa, ché mi pare molto appropriata a stamattina]

Affollamento onirico

Sono giorni (anzi notti) che sogno tantissimo. Dicono che i sogni si ricordino bene quando si dorme male, però non togliete le puntine dal materasso, ché questo dormir male è davvero interessante.
Sono sogni pieni di gente. Proprio ora che mi sto facendo una manciata di affari miei e sono in fase solitaria. Un sacco di persone conosciute in tempi vari, rimaste, perdute, importanti e scordate. Naturalmente è compresa una buona percentuale dei ragazzi di cui mi sono innamorata - ma soprattutto molti di cui non mi sono mai innamorata, sui quali però il mio inconscio sembrava avere un’opinione diversa.
Eh, cosa fa l’astinenza.
In attesa di diventare ninfomane, ho sognato anche la metà dei miei professori. Devo convincere i compagni a fare una cena di classe, o di mezza classe, o di residui sparsi di classe, insomma ho bisogno di una scusa per raccontare a Sisto che lettere quasi quasi mi piace. Anche se sto facendo Ariosto.

A questo punto vado a dormire, ché sono curiosa.